NINFE DI SICILIA

Il progetto

Il gruppo di ricerca TrizziRiDonna, all’interno della fucina musicale e coreutica della Associazione Tavola Tonda, si occupa di un percorso teorico-pratico di ricerca e formazione transdisciplinare che, a partire dalle forme contemporanee di danza e musica di tradizione, ne indaga storia, origini e relazioni con le forme del sacro al femminile in Sicilia, facendo dialogare tra loro campi di studio eterogenei: etnomusicologia ed etnocoreutica, storia e archeologia, antropologia del sacro, etnobotanica e antropologia delle droghe, storia dell’arte.

Dalle più antiche attestazioni epigrafiche e archeologiche legate alla musica e alla danza in Sicilia emerge, infatti, una cultura che si intreccia profondamente con le trame del femminile, legata a quelle entità semidivine che sono chiamate, con termine forse pre-greco, ‘ninfe’: figure mitologiche considerate marginali nel pantheon ellenico ma che, a uno studio più approfondito, risultano essere personaggi chiave della versione siciliana del mito su Demetra e Kore (ninfa essa stessa), e figure centrali del sacro al femminile comuni a tutto il Mediterraneo, attestate fin dal Paleolitico e di cui rimangono tracce – seppur rifunzionalizzate e riqualificate – fino ad oggi.

Il termine ‘ninfa’ è ambiguo, poiché è stato utilizzato per indicare esseri divini, umani e anche animali, mescolando tra loro piani differenti e raccogliendo un insieme simbolico estremamente complesso e che oscilla tra dimensione mitico-narrativa e storica.

Le figure definite da questo termine possono essere legate a diversi aspetti della natura, loro ierofanie: alberi e boschi sacri, giardini (di fiori e piante medicinali e psicotrope), grotte e, soprattutto, acque sacre. Nella loro complessa e articolata fisionomia le ninfe hanno inoltre ‘collezionato’ competenze estremamente eterogenee: a loro sono stati attribuiti distinti ambiti professionali che le identificano talvolta come erboriste altre come apicultrici; ostetriche o levatrici; ‘balie’ o educatrici; sacerdotesse con il compito di guidare le donne nei riti muliebri (legati al menarca, alla gravidanza e al parto, alla menopausa) usando strumenti rituali come canto, danza e musica; profetesse - ma anche ‘ispiratrici’ di poetesse e poeti - tramite una forma di sacra manìa: la ‘ninfolessia’ o estasi poetica/profetica di cui sembra essere stata ‘vittima’ eccellente, tra gli altri, Socrate. Dai testi o frammenti di diversi poeti e filosofi è possibile, infatti, ricavare tracce di culti iniziatici e misterici di tradizione orale connessi alle ninfe, alle baccanti, o alle divinità di cui queste costituivano il corteggio (Demetra, Persefone, Artemide, Atena, Dioniso…).

In questo sito ci interessa ‘rimettere insieme i pezzi’, ovvero raccogliere materiale sugli aspetti principali di queste figure - tra il simbolico e il reale - del sacro femminile, approfondendone aspetti che si rinvengono, rifunzionalizzati, anche in età medievale, moderna e contemporanea, nel corpus mitico-storico di entità altre e culti altri, come quelli facenti capo a ‘donni di fora’, ‘magare’, ‘munaceddi di la funtana’, o specifiche Sante e Madonne nelle cui figure la potenza simbolica del femminile è stata scientemente convogliata: attuali patrone e protettrici di città, paesi, boschi, fonti d’acqua, grotte (i luoghi mitici e cultuali frequentati dalle antiche divinità femminili), in trasformazioni che lasciano ipotizzare una continuità, seppur frammentaria (non solo dal punto di vista documentario) e risemantizzata, dall’antichità al presente.

Perché questo interesse per qualcosa di talmente lontano nel tempo da aver lasciato solo poche, labili tracce? Nostalgia del passato? Distacco dalla concretezza della realtà odierna, quando ci sono questioni molto più concrete, pressanti, attuali a cui sarebbe più importante dedicare il tempo?

Oggi, il mondo occidentale sta ancora vivendo le conseguenze dello stupro della dea da parte del dio della tempesta. Le nostre maggiori religioni - Giudaismo, Cristianesimo e Islam - sono basate sulla credenza che metà della razza umana sia fatta ad immagine della divinità e l’altra no, e dunque non ha accesso al potere religioso. Culture guidate da sistemi di credenze come questi sono pericolosamente disequilibrate. La desacralizzazione della donna ha contribuito alle terribili disuguaglianze e violenze contro le quali le donne lottano ogni giorno. Una cosmologia che ammette un solo dio maschio limita la capacità delle donne di immaginare il proprio pieno potenziale come essere umano. Ma soffrono anche gli uomini, tagliati fuori da aspetti della propria psiche considerati delicati o ‘femminili’ nella nostra cultura. Chiaramente, la storia stessa è una forma di creazione mitologica. La versione ufficiale della nostra ‘mito-storia’ influenza la nostra comprensione del mondo e il nostro posto in esso. Filtrando la nostra percezione della realtà, definisce cosa sia accettabile e cosa no e dà forma al nostro senso del sé. Riportare alla memoria il fatto che siano esistiti periodi della nostra storia in cui società basate sulla dea hanno funzionato pacificamente per secoli, in accordo con credenze religiose più democratiche di quelle attualmente esistenti, aiuterebbe donne e uomini ad eliminare stereotipi culturali oppressivi e distruttivi. Questa conoscenza ritrovata sta aiutando donne e uomini a trasformare sé stesse e se stessi e quindi la propria cultura”. (Layne Redmond, Quando le donne suonavano i tamburi, Venexia)

L’esistenza attuale e contemporanea di società matrifocali, e gli studi oggi finalmente intrapresi su quelle storicamente documentate, ben lungi dall’essere una ‘fantasia intellettuale’ di bachofeniana memoria (cfr. gli studi della Goettner-Abendroth) ci spinge a credere che raccontare altre e differenti storie non sia soltanto necessario, ma doveroso: perché una storia, quando non viene raccontata, smette di esistere.

È necessario dunque ricostruire un punto di vista femminile sul mondo che è mancato per troppe migliaia di anni, ricucendo insieme le tracce di racconti antichi, nascoste in filigrana tra le righe della narrazione ufficiale; tracce che, una volta messe insieme con paziente lavoro di tessitura, mostrano una struttura coerente e illuminante.

Vi è in noi la profonda speranza che scrivendo e diffondendo le storie di altri popoli, offrendo alle loro voci luoghi per essere sentite, possiamo in qualche misura lottare contro l’arroganza di lunga data dell’autorità coloniale e imperialista, della storia scritta in un’unica lingua, in un’unica voce, in un unico racconto”. (S. Feld, Dall’etnomusicologia all’eco-muse-ecologia, in Ecologia della musica, Donzelli)

Oggi, in un’epoca di profonda crisi ecosistemica, politica, economica, la ‘visione’ del locus amoenus e la relazione sacra e misterica con il territorio che sembra prendere forma dalle ricostruzioni storiche di una cultura orale, pre-storica, femminile, assume una enorme rilevanza. L’interesse da eruditi per ‘quattro pietre’ è in realtà guidato dalla necessità di tornare a, e di nutrire, un rapporto più rispettoso e attento tra essere umano e Natura, un più sano modo di rapportarsi con il Cosmo.

Scrive Marco Martella in Tornare al giardino: “L’ecologia riapre oggi la questione del nostro posto nel cosmo presentandola come emergenza, una crisi che esige una risposta da ognuno di noi. Ma invano tentiamo di reagire al naufragio ambientale utilizzando in modo più parsimonioso le ‘risorse naturali’, preservando spazi di natura incontaminata o cercando di rimediare tecnologicamente agli squilibri che grazie alla tecnologia continuiamo ad introdurre nel mondo”, poiché è un cambio strutturale di pensiero che è necessario: la tradizione giudaico-cristiana (e la cultura patriarcale ad essa legata) pone i ‘figli (maschi) di Dio (maschio anch’esso)’ al di sopra e dunque al di fuori della natura (femmina) che non è più soggetto alla pari, ma oggetto di dominio (sia in forma di donna che di ambiente). “[…] L’unica risposta possibile sarebbe tornare ad abitare poeticamente la terra: ritrovare il nostro posto in seno al vasto ecosistema che è la realtà in cui siamo immersi, la sola veramente nostra. […] Questo ci offre il giardino. Un ritorno al mondo incantato della physis. La possibilità di abitare la Terra con umiltà, come suoi figli, affidando alle piante, all’acqua e agli animali la cura dell’anima mutilata”.

La ricerca sul sacro al femminile in Sicilia, pur vantando anche studi di lunga data e di grande spessore – in campo storico, archeologico e antropologico – è finora rimasta per lo più confinata negli stessi ambienti in cui è nata. Ci proponiamo, con il nostro lavoro, di rendere disponibile in forma divulgativa materiali per la trasmissione delle conoscenze e la ricerca personale di quante e quanti condividono con noi il desiderio di creare e costruire insieme strumenti utili a cambiare il paradigma culturale attuale.

 

 

 

 

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